Il riscaldamento
Il riscaldamento sportivo è la fase attraverso la quale si prepara l’organismo ad affrontare un’attività fisica che può essere di intensità elevata, nel caso di una gara, oppure più o meno blanda, nell’attività amatoriale.
Lo scopo fondamentale è far aumentare la temperatura del “motore” umano, alla stessa stregua di ciò che avviene nel campo automobilistico, per evitare possibili “rotture” tipiche delle partenze a freddo.
Gli esercizi di riscaldamento, che non sono limitati al solo stretching, come qualcuno erroneamente può essere portato a pensare, permettono un aumento di 1-2 gradi della temperatura corporea ed innescano una serie di conseguenze legate al maggiore ritmo cardiaco e ventilatorio, tra cui le più importanti sono:
- favorire l’apporto di nutrienti e lo scambio gassoso al muscolo in attività
- aumentare gli impulsi nervosi al muscolo
- migliorare lo smaltimento delle scorie
- l’aumento della temperatura corporea ottimizza l’attività degli enzimi responsabili della produzione di energia.
La migliore funzionalità muscolare si estrinseca attraverso:
- maggiore elasticità muscolare
- maggiore resistenza del tessuto muscolare alle lacerazioni
- rilassatezza muscolare
- maggiore estensibilità del tessuto connettivo all’interno del muscolo
- decremento della viscosità muscolare
- aumento del tasso metabolico e dell’estensibilità dei tessuti molli.
Di metodi e strategie per eseguire un buon riscaldamento se ne trovano ad iosa, fatto salvo che, a mio avviso, ognuno di noi dovrebbe cercare di trarre dalle linee guida generali quello che è più efficace personalmente.
Per mio conto cerco di adattare le metodiche comuni ponendo maggiore attenzione alle zone critiche. Particolare cura pongo all’allungamento della complicata rete di fasce muscolari flesso estensori della mano, in conseguenza di una epicondilite, un’adeguata mobilitazione della zona del collo per una serie di traumi a livello colonna cervicale, etc. (sigh! la lista degli infortuni e le conseguenti zone a rischio è assai lunga…).
Nello sport del kayak e più in generale in molte attività fisiche in ambiente, oltre alla componente muscolare grande rilevanza riveste l’aspetto psicologico, poiché mente e corpo sono tra loro strettamente correlati ed interdipendenti.
Per affrontare in maniera positiva una performance sportiva, sia essa agonistica o relegata alla semplice discesa di un tratto di fiume mediamente impegnativo, vediamo di capire cosa succede a livello organico-mentale e quali possono essere le soluzioni per dare il meglio.
L’analisi parte dal presupposto che vi sono molti canoisti tecnicamente preparati, ma fortemente emotivi, i quali affrontano percorsi impegnativi, sulla carta a loro portata, in maniera problematica, a differenza di chi, magari meno capace, ha un atteggiamento più sereno.
Riporto, in sintesi, adattandolo alle caratteristiche distintive dello sport del kayak, quanto contenuto nel testo di Jürgen Weineck: “L’allenamento ottimale” che analizza lo stato pre-gara dell’atleta, anche se può benissimo essere adattato a tutti coloro che si accingono ad affrontare un percorso soggettivamente impegnativo, in grado, pertanto, di ingenerare una situazione di tensione.
Secondo l’autore, il rapporto tra i due ormoni dello stress, la noradrenalina, indicatore per lo più dello stress fisico e l’adrenalina, che rispecchia prevalentemente quello psichico, sono in grado di influenzare l’atteggiamento psico-fisico dell’atleta (o del canoista prima della discesa).
Distinguiamo fondamentalmente tre caratteristiche dello stato prima dell’impegno:
- Disponibilità: tutti i processi fisiologici si svolgono normalmente. Lieve eccitazione, attesa gioiosa, leggera impazienza di affrontare la discesa ed una capacità ottimale di concentrazione sono alcuni indici fisiologici e psichici. Ciò porta a dare il meglio di se. Ci si sente a proprio agio ed in grado di affrontare le rapide con una buona capacità di direzionare l’imbarcazione. La sensazione è di essere in “sintonia” con l’imbarcazione e l’ambiente fluviale. Addirittura si riescono ad eseguire delle manovre tecniche il cui risultato è superiore alle aspettative.
- Stato di ansia: notevole nervosismo, azioni incontrollate, sbadataggine, insicurezza, iperattività immotivata. Un esempio: durante la vestizione dimenticarsi qualcosa (solitamente il paraspruzzi) e/o dimenticare dove lo si era riposto. In questo caso l’attività motoria specifica è parzialmente disorganizzata, i processi mentali sono assai grezzi e la capacità di esprimere una tattica (di discesa) accettabile, ridotta. Le probabilità di sbagliare e le erronee valutazioni (magari sulle traiettorie da fare) aumentano significativamente.
- Apatia: inerzia, movimenti completamente inibiti, sbadigli. Sonnolenza, ansia, cattivo umore, stanchezza immotivata, voglia di ritirarsi, alcuni indicatori fisiologici e psichici. In questo stato si rischia di essere in balia della situazione senza riuscire ad esercitare un controllo accettabile dello scafo e la scarsa reattività unita alla incapacità di esprimere valide strategie, possono costituire un pericolo.
Che fare? Innanzitutto riconoscere attraverso gli indicatori sopra descritti la situazione nella quale ci si trova.
(Mi permetto di aprire un inciso: non cercate di mentire a voi stessi: è impossibile. Anche se siete bugiardi da premio Nobel e ne conosco una quota parte, sarebbe fatica sprecata e potrebbe diventare controproducente aumentando ulteriormente il senso di insicurezza. Ho già affrontato in maniera sommaria l’argomento “paure” nell’articolo: “Oops! Mi sono rovesciato…“. Essere tesi od aver “strizza” non deve portar a sentirsi inferiori; è una normale reazione fisiologica retaggio dell’evoluzione).
In caso di uno stato d’ansia (nel quale aumenta il tasso di adrenalina alterando il rapporto con la noradrenalina) può essere utile eseguire un riscaldamento lungo e tranquillo. Imbarcatevi, pagaiate avanti-indietro, meglio se isolati dalla confusione, a ricercare quella concentrazione disturbata dai fattori ansiogeni. In caso vi sia un pò di corrente approfittate per fare dei traghetti possibilmente facendo scorrere l’imbarcazione ed “ascoltandone” le reazioni. Prendetevi il tempo che serve al fine di aumentare la noradrenalina indice dello stress fisico (non a caso si parla di “scaricare la tensione”).
Se vi accorgete di essere in uno stato di apatia, si dovrebbe ricorrere ad un riscaldamento stimolante, intenso, quasi a volersi svegliare. Può essere proficuo eseguire degli scatti brevi, ma alla massima velocità. Entrate in morta ed uscite in corrente, quando possibile, con la massima determinazione.
Interessanti le soluzioni individuate dall’autore in merito al riequilibrio del rapporto adrenalina-noradrenalina formulate nell’ipotesi: “Da un lato lo si può ottenere attraverso un riscaldamento adatto alla tipologia del pagaiatore (argomento appena trattato n.d.r.), dall’altro assumendo un atteggiamento positivo di disponibilità verso la prestazione” (tratto da: “L’allenamento ottimale” di Jürgen Weineck). Questa assunzione di un atteggiamento positivo di disponibilità, implica prendere delle misure di carattere “metodologico” che, adattate alla quotidianità del canoista, si estrinsecano nel:
- Essere autonomi nella scelta delle traiettorie e strategie di discesa.
- Avere la consapevolezza di essere all’altezza della situazione.
- Avere la abilità di valutare correttamente le proprie capacità.
Come indicazione generale ritengo importante, quando possibile, iniziare a scendere un corso d’acqua prendendo più morte possibili, selezionandole in base ad un criterio di efficacia; servirà ad entrare in sintonia con l’ambiente, “capire il carattere” e le caratteristiche del corso d’acqua che vi accingete a percorrere, oltre a migliorare la confidenza con una manovra assai importante e sulla cui esecuzione non si è mai finito di imparare. Se poi non è attuabile integrare il riscaldamento a secco con quello in acqua, va da se che prima di imbarcarsi vanno curate entrambe le componenti, magari con una corsetta o degli scatti, a seconda delle esigenze.
Concludendo, il riscaldamento completo, nello sport dalla canoa, deve comprendere i due fattori: fisico e psicologico. Non sarà la panacea di tutti i mali, ma secondo un detto comune “chi ben comincia è a metà dell’opera”.
Mauro.