Pyranha Machno
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“De gustibus non est disputandum “, recita una nota locuzione latina, affermando che i gusti sono soggettivi e ognuno ha diritto ad avere i propri, per quanto strani possano sembrare ad altri.
Il test in oggetto ne è stata l’ennesima conferma.
La scelta dei collaboratori è caduta su un gruppetto di baldi canoisti locali denominato i “Mas’ci” (tradotto: maiali), accomunati dallo spirito goliardico del divertirsi in canoa e nel quale sono presenti le più disparate capacità che spaziano trasversalmente al mondo della pagaia.
In una fredda mattinata di dicembre ho chiesto loro di compilare un questionario dopo averla provata, pregandoli di non discuterne con altri fin tanto che non si fosse conclusa la sessione, onde evitare influenze reciproche che avrebbero potuto inficiare la validità del test.
I risultati, visibili sotto, hanno messo in evidenza grandi discrepanze a dimostrazione, in primis della efficacia della metodica scelta ed in seconda battuta di quanto sia difficile standardizzare il comportamento di un kayak.
La conseguenza più eclatante ed immediata scaturita è che fornire indicazioni risulta essere cosa assai improba poiché il giudizio è influenzato dal background personale.
Ecco perché, con questi presupposti, la risposta più idonea a chi chiede informazioni circa il comportamento di un’imbarcazione è: il kayak più idoneo è quello con il quale si instaura il miglior feeling.
La Machno nasce come naturale evoluzione di due distinti filoni: la Burn, della quale vi sono tre differenti versioni (I, II, III serie) e la tanto discussa 9R salita alla ribalta delle cronache per aver conosciuto il successo nella gara d’alto corso tenuta in terra austriaca e denominata Silkline.
La necessità di creare un nuovo modello deriva, a mio avviso, dall’esigenza di rivisitare la Burn che pur essendo arrivata alla terza versione, presentava delle problematiche progettuali legate alla spigolosità del fianco per offrire un kayak fruibile da una più ampia platea di canoisti sull’onda di quanto fatto dagli altri competitor.
Le caratteristiche:
Leggendole, si nota come la taglia attribuita dal costruttore sia una “M” nonostante i suoi 308 lt. di volume. Ciò permette di soddisfare le esigenze di un ampio range di pesi che va dai 60 ai 100 Kg.
Interessante il confronto con la Burn
E le 9R – 9R L
Ciò dimostra che la Machno è di fatto un nuovo progetto, nonostante la simiglianza con la Burn.
L’analisi visiva.
Fedele alla filosofia costruttiva, che prevede il fondo piatto al fine di privilegiare la stabilità primaria e la velocità di rotazione su se stessa, Pyranha cerca di sopperirne agli inevitabili svantaggi modificando la geometria complessiva dello scafo, alzando la linea di raccordo tra la coperta ed il fondo stesso per renderlo un pò più rotondeggiante.
La finalità di una tale soluzione è, probabilmente, quella di ammorbidire il comportamento del fianco e manifestare una condotta meno “scorbutica” di quella della Burn.
Il confronto tra i tre diversi modelli di casa Pyranha evidenzia un profilo anteriore simile alla R9,mentre quello posteriore sembra più ispirato alla Burn. Le differenze ovviamente ci sono e non di poco conto. I volumi della Machno in generale sembrano più generosi in punta e coda rendendo la seduta ancor più incassata. Quindi possiamo dire che all’anteriore ha più volume di una 9R, mentre al posteriore più di una Burn.
Nella vista dall’alto la coperta sembra un incrocio tra la 9R, nella prima parte vicino alla punta e la Burn nella zona centrale, mentre la linea di cintura, che si raccorda con la carena, la fa sembrare più stretta della Burn. In realtà si tratta solo di un effetto, poiché l’effettiva larghezza è simile. La parte posteriore della coperta è simile a quella della Burn.
Interessante lo sviluppo del profilo anteriore: parte più sottile della Burn, assimilandolo ad una vera e propria punta, tant’è che la maniglia anteriore è longitudinale rispetto allo scafo, con il volume che aumenta decisamente man mano ci si avvicina al pozzetto, dando l’idea di un anteriore in grado di bucare le onde, ma che permette al tempo stesso un considerevole galleggiamento. Con una tale configurazione, la coda deve avere anch’essa un volume importante per evitare di ritrovarsi seduti su un “chopper”.
Le 5 maniglie metalliche sono molto ben fatte, tra le migliori e più curate viste finora. Grazie all’alloggiamento piuttosto scavato e l’azzeccato profilo della robusta barretta metallica, permettono un agevole aggancio e maneggio di moschettoni a base larga, cosa non di poco conto in operazioni di emergenza. Sono fissate tramite bulloni affogati nella plastica, particolare da tenere in debita considerazione in eventuali operazioni di parancatura.
La seduta, fedele allo standard Pyranha, è essenziale, senza fronzoli inutili, con una curva accentuata nella parte posteriore che permette un buon appoggio dei glutei e minimizza il ricorso allo schienalino. Dotata di un imbottitura sottile, comunque efficace ed idrorepellente, è posizionata in basso ai fini di abbassare il baricentro. Manca, purtroppo, una svasatura per evitare fastidiose pressioni sul coccige.
Fissata allo scafo ai lati ed a metà dal longherone centrale, rimane sufficientemente bloccata anche nelle più vigorose sollecitazioni. Ai bordi verticali i classici spessori sagomati con possibilità di variarne la grandezza ed adattarla alle diverse forme anatomiche del bacino. La parte anteriore fornisce un blando supporto alle gambe in altezza. Nel complesso si rivela sufficientemente anatomica e non interferisce con una rapida fuoriuscita dal kayak. Lo schienalino, classico, non troppo piccolo, irrigidito posteriormente da un supporto in plastica, imbottito quel che basta, ma non invasivo, è fissato tramite cricchetti che lo rendono regolabile.
Per i cosciali finalmente si è deciso di dare ascolto alle critiche che li vedevano poco avvolgenti. E’ stata applicata una plastica curva con l’intento di creare un supporto all’esterno della coscia. Finalmente!
E’ una soluzione un pò posticcia, anche se efficace, alla quale, secondo i rumors, seguirà una realizzazione definitiva.
Il puntapiedi è il solito piccolo “barilotto” plastico dotato di barre in alluminio forato per la regolazione della lunghezza. Una piastra in “foam” di 3 cm. di spessore evita si muova eccessivamente “su/giù”. Anche in questo caso mi è stato riferito che dovrebbe trattarsi di una soluzione pre-serie, poiché un pò fittizia.
Il sistema antischiacciamento prevede all’anteriore un paletto in plastica fissato inferiormente al longherone che passa sotto il sedile, mentre la parte sopra è trattenuta da semplici viti.
Al posteriore uno spesso foglio di foam si fissa tra il longherone sotto il sedile ed un apposito alloggiamento in coperta.
Sia il paletto anti schiacciamento che il longherone sotto sedile sono dotati di cinghioli per alloggiare e fissare materiale tipo corda da lancio e/o bottiglie. Eventuale materiale al seguito (rescue kit, pagaia di scorta, etc.) può essere alloggiato abbastanza agevolmente sfruttando i volumi di coda, anche se la presenza dello spesso longherone in foam ne limita la praticità d’accesso ed il volume. Attenzione comunque ad una corretta sistemazione dei “bagagli”; non è una buona idea ostacolare una rapida fuoriuscita dal kayak.
Il tappo di svuotamento, centrale, infossato, sfrutta l’incavo dov’è sistemata la maniglia di coda. Rimane in posizione riparata e garantisce una completa fuoriuscita dell’acqua eventualmente presente all’interno dell’imbarcazione.
Le generose dimensioni del pozzetto impongono l’utilizzo di paraspruzzi “big hole”. Di questo passo i kayak sono destinati a diventare delle sit on top!
Come va.
Buono il feeling iniziale, supportato dall’ottima disposizione degli interni ed una seduta essenziale ma abbastanza comoda, penalizzata dalla mancanza della svasatura per il coccige che, alla lunga, potrebbe dare fastidio (per il discorso sedile potete dare un’occhiata all’articolo “La seduta” http://maurotagliabue.altervista.org/la-seduta/). I cosciali finalmente sono più efficaci. Li ho resi ulteriormente performanti, per adattarli alle mie esigenze, semplicemente ponendo degli spessori di foam tra lo scafo e l’aletta in plastica, accentuandone la curva. Così facendo l’interno coscia appoggia ancor meglio pur con la gamba rilassata. La regolazione avanti indietro non è molto agevole e un pò “macchinosa”. Le viti ed i dadi dopo un pò di utilizzo dell’imbarcazione tendono a svitarsi (neanche la canoa fosse sottoposta a vibrazioni), consigliando un periodico controllo generale della tensione. Magari dei bulloni autobloccanti o del “frena filetti” potrebbero essere una soluzione, ma si tratta di annotazioni marginali e probabilmente legate al modello pre-serie. In acqua si nota come la stabilità primaria sia buona, anche se meno marcata rispetto alla Burn. La secondaria invece è eccellente, complice la diversa disposizione dei volumi che sembra aver “ingrassato” lo scafo e la “linea di cintura” più alta con conseguente maggior rotondità del fianco. Il passaggio tra primaria e secondaria ha creato grande pullulare di commenti tra loro controversi. Chi deriva da scafi tondeggianti come la Spade, Nomad, etc. ne è rimasto infastidito per il comportamento “burbero”. I possessori di Waka (soprattutto la prima versione) e Burn invece, ne hanno apprezzata la minore spigolosità e di conseguenza una migliore fluidità. Anche il quesito sulla velocità è stato caratterizzato da pareri controversi. Effettivamente il generoso volume della punta offre un marcato freno idrodinamico, per cui l’avanzamento risulta faticoso a differenza, per esempio, della 9R, la cui velocità è nettamente superiore. La sessione di prova a Solkan ha evidenziato una condotta incline “all’acqua che spinge”. Partiti la mattina con un livello basso, quando la centrale ha aperto, incrementando la portata, la Machno ha cambiato comportamento. Probabilmente passata in secondo piano la velocità (chissà perchè poi tutta questa attenzione alla velocità! Manco fosse un kayak da discesa; vedi: nota in calce), è diventata interessante la risposta dell’anteriore. Nelle uscite in corrente con un minimo di velocità iniziale, come dovrebbe essere, la parte davanti tende a planare facilitando la rotazione e migliorando la stabilità. La precisione nelle traiettorie non è eclettica e sicuramente inferiore alle Nomad, tanto per non fare nomi (ahah), ma sicuramente migliore di molte imbarcazioni con una tipologia del fondo similare alla Machno. Eccellente invece la facilità con la quale si riesce a farle cambiare traiettoria. Partendo da una morta con angolo quasi perpendicolare e volendo contrastare la spinta laterale della corrente, mentre le altre imbarcazioni soffrivano una eccessiva difficoltà a variare la linea (caratteristica definita da qualcuno come un “imbinariamento”), la Machno diventa sorprendentemente leggera e permette una efficace correzione della direzione. Per di più utilizzando gli assetti, la successiva ripartenza risulta veloce. Le entrate in morta diventano divertenti. Basta impostare l’angolo corretto, avere un pò di velocità ed…etvoilà: la planata è garantita. Ma poi? Nella conseguente rotazione, soprattutto se stretta, tende a “scarrocciare”, allargando la curva come molti “bomboloni”. Ed allora? Basta alzare ancora di più il fianco, tanto ha una grande stabilità secondaria, sfruttando lo spigolo (o come qualcuno più professionalmente lo definisce “rail”), per limitare la deriva verso l’esterno, oppure…dare un pò di contropancia (manovra che va messa a punto, per chi non l’avesse mai provata): smette di allargare e riparte in avanti.
Chi la sa usare, ne trarrà un indubbio vantaggio soprattutto nelle morte piccole e con acqua molto veloce. Il boof è semplice grazie al fianco generoso ed anche chi non lo esegue efficacemente sarà aiutato dalla punta incline a galleggiare considerevolmente.
Fermarsi nei ribollimenti della corrente non è cosa saggia; la spigolosità del fianco, pur limitata, si fa sentire, così come nei rulli è opportuno lavorare correttamente con gli assetti, perché mentre lo scafo ruota potrebbe dare la sensazione di sentirselo”pizzicare”. Niente di tragico, ma chi non è abituato indubbiamente ne sarà infastidito. Da ultimo, sono rimasto perplesso nel leggere dalla scheda tecnica che la taglia è una M. Le dimensioni generose fanno assomigliare la Machno più ad una L che M (chissà allora come sarà un eventuale L).
In buona sostanza è un kayak che va condotto in attivo, mantenendolo più veloce della corrente per sfruttarne le peculiarità e richiede un pò di rodaggio per usufruire delle potenzialità che ha lasciato intravedere. Comodo l’interno ed assai anatomico, permettendo di controllare e “sentire” efficacemente lo scafo. Una curiosità: nel sito della Pyranha non vi è traccia di una categoria “Creek”, ma si parla di “River Runing”.
Nota: a mio avviso, vi è un utilizzo non corretto della parola “velocità”. Per le imbarcazioni da creek e torrente, forse ha più senso parlare di “reattività” intesa come la velocità con la quale il kayak risponde ad una manovra. Effettivamente talvolta la Machno, in alcune situazioni, soprattutto nelle ripartenze da fermo, sembra sia incollata all’acqua e le prime pagaiate non sortiscano effetto alcuno. Associare questo comportamento con un indice di scarsa velocità, in questo frangente, non ha significato.
Ecco una raccolta di commenti dei nostri tester:
La Machno è un kayak comodo e confortevole facilmente assettabile (inteso come impostazione interna n.d.r.). Il suo peso nel trasporto a spalla è accettabile essendo più leggera della gran parte dei kayak da creek. In acqua ha un comportamento che da subito confidenza; reagisce prontamente a tutte le manovre dimostrando doti di agilità e precisione. Nel surfare la punta raramente si infila sotto l’onda e il fianco morbido permette di surfare anche onde ripide e corte Nei rulli si è dimostrata stabile e bilanciata dando modo di manovrare senza incappare in prese di spigolo particolarmente fastidiose. Nel caso che la corrente prenda la punta trascinandola verso il basso il suo recupero risulta semplice: basta una sola pagaiata larga fatta bene. Nello slalom fra le porte risulta precisa e i fianchi sono moto efficienti sia nei traghetti che nella conduzione della curva x infilare la porta. La Machno è una canoa che soddisfa tutte le esigenze dei canoisti d’alto corso anche se non espertissimi. Dimenticavo ha un ottima stabilità sia primaria che secondaria.
I rail non sono quelli classici Pyranha ed il kayak in acqua si comporta molto bene anche se per i miei gusti il comportamento lo trovo molto “scorbutico”, ma questo è dovuto al fondo piatto della barca al quale non sono più abituato.
Interessante kayak che si presta all’uso anche da parte di canoisti di piccola taglia, nonostante la mole. Mi sembra che la coda sia leggermente sensibile alle correnti laterali dando in alcuni casi la sensazione della classica “pizzicata” :da approfondire.
È una barca veloce e fluida, le morte non serve anticipare molto perché è veloce nel cambio di direzione. È una barca che necessita di volumi importanti d’acqua perché la punta davanti è tanto alta.
Canoa abbastanza veloce, con volumi ben distribuiti. Veloce il cambio di direzione, ma cambio pancia lento a causa del fondo eccessivamente piatto.
N.B.: sarebbe da provarla su torrente pendente prima di fare la sentenza.
Un doveroso ringraziamento ai collaboratori
e per la fornitura del materiale in test ad
Risultati test
La nostra pagella
Mauro.